Alberto Contri ripubblica “La sindrome del criceto”: la cultura woke e gender sta riducendo l’umanità a una massa acritica. Che ora si ribella.
Negli ultimi tempi sono stati pubblicati preoccupanti risultati di ricerche e sondaggi sia sui giovani che sugli adulti italiani. Si rileva un costante, generale incremento dell’analfabetismo funzionale e di ritorno, della predisposizione alla violenza e alla mancanza di rispetto, dell’incapacità di concentrarsi e approfondire. Colpisce la decisione di molte giovani coppie di non volere figli per non caricarsi di responsabilità e non avere intralci nel lavoro, la carriera e il tempo libero. Siamo di fronte a un inquietante mutamento antropologico, più volte denunciato da Alberto Contri, prima nel suo saggio Mac Luhan non abita più qui? (Bollati Boringhieri, 2017) e di recente nella seconda edizione riveduta e ampliata de La sindrome del criceto (Nexus Edizioni) appena pubblicata.
Professor Contri, come è arrivato ad anticipare le conclusioni di queste ricerche?
Ho fatto tesoro della mia esperienza di una vita in pubblicità, molta della quale passata a impostare e analizzare ricerche sociali per conoscere le attitudini, i modi di pensare, le aspirazioni di cittadini e consumatori. Negli ultimi trent’anni mi sono dedicato anche all’insegnamento, come docente a contratto, in tre primarie università con un corso di Comunicazione sociale, avendo modo di interagire con le generazioni X, Y e Z, conoscendone a fondo le dinamiche relazionali, le loro aspirazioni, e il loro rapporto con la tecnologia. Scoprendole sempre più assorbite dal cellulare e intente a prestare attenzione a frammenti, introitare frammenti, e quindi – al massimo – a rielaborare frammenti.
In effetti la sua intuizione della “costante attenzione parziale” riguarda oramai tutte le generazioni.
Certo. Ma chi è stato educato in un’epoca – diciamo così – analogica, conserva ancora una parziale difesa contro questa deriva. Strumenti straordinari come internet e lo smartphone, usati in maniera compulsiva, hanno provocato gravi danni ad una parte consistente degli studenti che ho avuto modo di incontrare. In quasi trent’anni di laboratorio fatto insieme a loro per analizzare la comunicazione sociale di tutto il mondo, correggendo compiti e tesi, interrogandoli e condividendo anche momenti di sincere e informali chiacchierate, ho capito quale modificazione antropologica stavano incubando come un’infezione. Vivere di frammenti porta piano piano a non approfondire più nulla, a vivere in un costante “qui ed ora”, rispondendo a stimoli molto semplici, e di mero edonismo. Quando capitava di avere lezione il pomeriggio tardi, vedevo molta impazienza nel timore di far tardi all’apericena, anche se l’argomento li interessava. Non approfondire e vivere di messaggi telegrafici porta ad un inevitabile impoverimento del linguaggio, donde i risultati delle ricerche sull’analfabetismo di ritorno.
Da quando si è verificata questa tendenza?
Secondo i ricercatori del Ragnar Frisch Center for Economic Research di Oslo, dal 1970 il Q.I. medio della popolazione è sceso di 7 punti per ogni generazione, con una accelerazione a partire dal 2000. Guarda caso, poco dopo la nascita di Internet. Ora che non tengo più un corso fisso mi chiamano ai master a tenere lectio magistralis. In maggioranza incontro ventisettenni che – quando sono bravi – hanno una buona cultura verticale della materia in cui si sono specializzati. Ma al di fuori di questa, di cosa succede nella società e nel mondo sanno ben poco e non se ne interessano. Un vero paradosso, perché le imprese in cui lavorano sono organismi che vivono in un habitat di cui è fondamentale conoscere il più possibile.
Nella nuova edizione della Sindrome del criceto lei ha ampliato molto le sue analisi, riflettendo sulle cause e sugli effetti di questo mutamento antropologico cercando di “unire i puntini”, metodo che lei richiama spesso ricordando il giochino reso famoso dalla Settimana Enigmistica.
C’è una antica parabola che risale alla filosofia dell’Anekantavada (500 a.C.) basata su un disegno in cui si vedono cinque ciechi che sfiorano diverse parti di un elefante: chi sfiora un orecchio ritiene di aver sfiorato una foglia di palma, chi tocca la coda pensa di avere in mano uno spolverino, chi abbraccia una gamba pensa di aver abbracciato il tronco di un albero. È la dimostrazione che se si è troppo vicini all’oggetto della propria speculazione si avranno molte difficoltà a comprendere di che si tratta. Per capire dettagli e contesto occorre farsi indietro, in modo da ottenere una visione olistica. Solo così si possono comprendere dinamiche complesse per poi impostare anche soluzioni.
Che cosa non capiamo di noi stessi?
Nella Sindrome del criceto descrivo una situazione antropologica davvero allarmante, tipica di un uomo progressivamente schiacciato tra due ganasce di una tenaglia: una è rappresentata dalla spinta al transumanesimo, l’altra dalla spinta alla fluidità, tramite l’invenzione delle teorie gender. A ben guardare entrambe puntano a distruggere la sua identità naturale, il suo patrimonio genetico e culturale, a ridurre le sue facoltà mentali ad un livello elementare (v. analfabetismo di ritorno), così da ottenere un’umanità costituita da un gregge molto facile da governare e irreggimentare.
Lei indica in Klaus Schwab e Yuval Harari i principali fautori di questo mutamento antropologico, coadiuvati da miliardari come Soros, Bill Gates e grandi fondi di investimento come BlackRock. Ci può spiegare meglio?
Ci sono arrivato scervellandomi per comprendere chi poteva trarre beneficio dal politicamente corretto e dalla promozione indiscriminata di una vita tutta digitale e supercontrollata. Anche questi fenomeni (o meglio queste mode) puntano in realtà alla distruzione dell’identità personale e al controllo sociale. Cito una importante massima del filosofo Luciano Floridi: “All’uomo le decisioni, ai robot le esecuzioni”. Ma che decisioni potrà mai prendere un cervello che vive di frammenti? Allo stesso modo l’incremento dell’omosessualità, la distruzione della famiglia tradizionale, il desiderio di godersela senza fare più figli conducono di fatto all’estinzione del genere umano.
L’uso dell’intelligenza artificiale (AI) come può influire su tutto questo?
Quanto all’AI, mi sento di affermare che gran parte di quelli che ne parlano non sanno esattamente che cosa sia. Mi hanno chiesto di fare il chairman a un paio di eventi in università sulle sue applicazioni (dovevo coordinare gli specialisti del campo) a cui partecipavano manager quaranta-cinquantenni. Ho scoperto che erano perlopiù ignari dei problemi di fondo, e per questo soprattutto intenzionati a rivolgersi a grandi società di consulenza, così come hanno già fatto per l’organizzazione, l’informatica, l’amministrazione. Un quadro semplicemente desolante.
Come ha unito i puntini?
Diceva un vecchio saggio “Ho visto lontano perché sono salito sulle spalle dei giganti”. Ho studiato molto, soprattutto il pensiero di scienziati e di ricercatori liberi. Scoprendo che Schwab, tramite il World Economic Forum, ha saputo piazzare nelle istituzioni chiave (ONU, OMS, COP, UNICEF, governi, banche centrali, etc). i propri “fedeli” come Rutte, Trudeau, Macron, Ghebreyesus, von der Leyen e moltissimi altri. Che hanno imposto, su argomenti cruciali come il cambiamento climatico e poi la pandemia, una narrazione unica, imponendo soluzioni forzose del tutto errate a questioni volutamente male impostate per meri interessi economici. A livello finanziario si è creato un monopolio pazzesco: il Fondo di investimento BlackRock ha partecipazioni in oltre cinquecento multinazionali, con un giro d’affari pari al Pil del terzo Paese del mondo dopo Cina e America. E sono in buona parte soldi di altri, come quelli dei Fondi pensione!
Che ricadute ha una presenza così ingombrante?
Tra queste multinazionali ci sono anche i principali network di comunicazione e multimediali del mondo, le principali agenzie di informazione e pure i principali fact-checkers. Ecco perché ho cominciato a farmi domande quando vedevo lo stesso titolo della Reuters apparire sui media americani e poi su quelli italiani senza nemmeno una virgola cambiata. Quanto al gender, si racconta che il CEO di BlackRock – grande sodale di Schwab – un paio di anni fa abbia scritto a tutti i vertici delle multinazionali minacciando di togliere loro i finanziamenti se non avessero promosso i valori LGBTQ… Tutti hanno obbedito, specie nella loro pubblicità. Ma hanno commesso l’errore di andare troppo di corsa, e adesso si sta verificando un fuggi-fuggi generale, un vero e proprio “contrordine, compagni”.
Lei cita nel saggio, a questo proposito, un personaggio importante, di cui quasi nessuno ha mai saputo niente: Christopher Dummitt.
Il che dimostra come è imbavagliata e pilotata l’informazione mainstream. Dummitt è un docente di storia della Trent University dell’Ontario, considerato uno dei massimi teorici della cultura gender. Qualche anno fa se ne uscì sulla rivista di cultura internazionale Quillette confessando di essersi inventato tutto, e stupendosi pure che in così tanti lo abbiano seguito. Ritenendosi inoltre molto amareggiato per il fatto che ritenere il sesso una realtà biologicamente determinata venisse considerato un discorso d’odio. Ma di esempi interessanti utili per capire cosa sta succedendo ne ho raccolto tanti: dal caso della scrittrice Rowlings, alla filosofa Agacinskj, all’associazione di ostetriche inglese che ha deciso di non chiamare più futura mamma una donna incinta “perché anche un maschio può partorire”. E via di questo passo, insieme alla follia degli schwa, gli asterischi, e compagnia cantando.
Ora però il vento sta cambiando?
Ho previsto che non sarebbe durato, e puntualmente è successo. L’irritazione popolare contro il woke e il pensiero unico politicamente corretto è considerata da alcuni sociologi come una concausa della vittoria elettorale di Trump. Il caso più eclatante è quello della più famosa birra d’America, la Budweiser, che aveva messo nella primavera del 2024 sulla lattina della birra analcolica la foto di una modella trans. Ne è nata una spontanea forma di boicottaggio: l’americano medio (operaio, impiegato) stufo degli eccessi LGBTQ, ha smesso di bere la Bud. Risultato: 27 miliardi di perdite in Borsa. Con successivi licenziamenti di massa. Anche Disney comincia a passarsela male, perché le famiglie si stanno scocciando dei film per bambini con troppi personaggi “fluidi” e cominciamo a disertare le sale e i parchi a tema, con notevoli perdite.
Lei sostiene che l’intrattenimento è il vero elefante nella stanza di cui nessuno parla.
Da studioso della comunicazione mi sono reso conto che tutta l’industria dell’intrattenimento che nutre il cinema, le serie delle piattaforme a pagamento, ma anche i contenuti dei servizi pubblici, ha diffuso scientemente il veleno di un potente relativismo etico che viene fatto assorbire inconsapevolmente dalla popolazione ogni giorno ad ogni ora. Adesso si cercano rimedi all’eccesso di violenza cercando di reprimerla, ma non ci si rende conto – come spiego nel saggio – che i buoi scappano ogni giorno dalle stalle se persino il servizio pubblico su RaiMovie manda in onda alle due di un pomeriggio di domenica un film giapponese in cui un tipaccio strappa a mani nude il cuore dal petto di un uomo legato ad un palo.
L’imposizione di questo nuovo modo di pensare passa anche da tv e giornali?
Certo. Ecco perché ogni giorno giornali e tv ci parlano di corpi tagliati a pezzi, violenze domestiche efferate, bambini gettati dalla finestra, stupri, sfregi con l’acido, sparatorie e risse che costituiscono una normalità che non stupisce più, anche perché tv e giornali poi ci si buttano a pesce nell’illustrare i particolari più scabrosi. Ecco perché specie ai più giovani e ai meno acculturati, risulta sempre più difficile distinguere la fiction dalla realtà. La loro vita assomiglia sempre di più alle fiction che vedono, in cui non esiste più alcuna sacralità del corpo altrui e del proprio.
Dove ha riscontrato i segnali di questo approccio?
Nel saggio riporto per esempio il caso paradigmatico della serie Euphoria (Sky) girata con attori giovanissimi, di cui mi turbò in particolare, tra le tante, una scena in cui una ragazzina mostrava come si fa ad ingannare i genitori per non far scoprire che si drogava. Non a caso il regista della serie aveva detto entusiasta, durante la conferenza stampa di presentazione: “Una serie che sicuramente manderà fuori di testa molti genitori. Ma noi raccontiamo la realtà”. Sic. È impressionante poi ascoltare l’irrispettoso relativismo sparso a fiumi da conduttori ad ogni ora del giorno e in tutti canali, anche del servizio pubblico. A cominciare la mattina dal Ruggito del Coniglio in cui si sfottono abitualmente diversi aspetti della religione cristiana fino alle trasmissioni più leggere o a quelle di dialogo con gli ascoltatori. Praticamente uno schiacciasassi mentale.
Non viene risparmiato neanche il Natale?
Del Natale si è ascoltato solo un continuo richiamo a cenoni, regali, divertimenti, fuochi d’artificio. Salvo gli spazi d’obbligo riservati al Papa e a una Messa domenicale, della nascita di Gesù e del suo significato non sì è fatto accenno. Magari per non offendere gli islamici. Ecco una perla regalata agli ascoltatori da parte di una sgallettata conduttrice alle tre del pomeriggio, improvvisatasi esperta dei film di Lars von Trier: “Si tratta di film a contenuto nevrotico, sensi di colpa, delirio […] insomma, ci si scontra drammaticamente con tutte le cose negative che hanno come base la religione”. Così, come se niente fosse, su RadioDue.
Un quadro davvero allarmante. Soluzioni?
Per i problemi complessi non esistono soluzioni semplici. Ci vorrebbe una collettiva e totale presa di coscienza in grado di incidere a più livelli della società, a ri-cominciare dalla scuola. Per questo il 30% di spazio del saggio l’ho lasciato a interventi di Elisabetta Frezza, con le sue lucide analisi e le sue concrete proposte, che non possono prescindere da un concetto di fondo: “Lo studio non è un gioco – scrive Elisabetta -. Lo studio è lavoro, richiede impegno e sacrificio: pretendere di eliminare questa sua componente agli occhi di chi vi si accosta significa non solo ingannarlo, ma anche precludergli il raggiungimento, la conquista, di traguardi elevati. Lo scriveva Gramsci nei suoi Quaderni: ‘Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso; è un processo di adattamento, è un abisso acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza’. Togliendo ai giovani questa dimensione, lungi dall’aiutarli, li menomiamo, perché sottraiamo loro una insostituibile palestra di vita. Tanto è già andato distrutto. Ma, tra le macerie, i pezzi del mosaico ci sono tutti, non sono andati perduti. Tocca a noi, con pazienza, selezionarli e rimetterli insieme. Ma dobbiamo muoverci presto, finché esistono ancora le condizioni per farlo, soprattutto finché sopravvive (fisicamente, proprio) chi ha gli strumenti e il mestiere per farlo”. Quanti pezzi ci sono da rimettere insieme anche nella musica e nell’intrattenimento? Avete mai ascoltato attentamente i testi dei rapper nostrani con continue incitazioni alla violenza? E le note? Quando i Maneskin ottennero il loro primo successo, il noto arrangiatore Marcello Sirignano commentò sui social: “Carino il pezzo dei Maneskin. Ma un secondo accordo non avrebbe guastato”.
Cosa si piò fare allora?
Tutto sta nel capire se la presa di coscienza della necessità di un nuovo Rinascimento riesce a diffondersi nonostante i criceti che affollano ogni strato sociale correndo nella propria ruota solo per sé e per il proprio tornaconto. Fare rete tra persone competenti e di buona volontà per attivare un nuovo Rinascimento è il motivo per cui ho scritto questo saggio.
(Max Ferrario)