Mauro Ferraresi
Professore associato di Sociologia dei consumi Università IULM
Lo scenario dei media ha subito con l’avvento del Web un tale cambio di paradigma, così profondo, articolato, complesso, che risulta difficile renderne conto in modo esaustivo.
Oggi la frammentazione della realtà comunicativa, in questo simile ai mille pezzi di una tazza di porcellana che si schianta al suolo, appare a un tempo entropica, cioè tendente al disordine, frammentata e giocoforza impossibilitata a rientrare nel suo stadio primitivo. Possiamo tranquillamente affermare che la tazza di porcellana della comunicazione così come la conoscevamo è oramai perduta. Eppure, Alberto Contri prova nel suo libro “McLuhan non abita più qui?” a dare conto di questi frammenti, spiegandoci perché e come mai siamo arrivati sino a questo punto. Senza cercare una sintesi risolutiva egli propone, in circa trecento pagine di volume e attraverso una narrazione che ha a tratti il sapore di un’autobiografia, innumerevoli casi, riferimenti, riflessioni, tratti dalla sua pluridecennale esperienza di copywriter e direttore creativo, ma anche di esperto del mezzo televisivo e cinematografico e di presidente di Pubblicità Progresso.
L’assunto di base di Contri è il seguente: l’enorme complessità del mondo della comunicazione può essere oggi governata solamente se si aumenta “il peso specifico del pensiero strategico e creativo alla base del progetto, così da minimizzare gli effetti della dispersione per l’inevitabile aumento della entropia.” (p.70)
Il libro parte da alcune considerazioni riguardanti l’accelerazione incredibile di innovazioni nel campo della comunicazione durante i millenni della storia umana: ci sono state innovazioni sempre più ravvicinate le une alle altre fino al punto di costringerci a una costante attenzione parziale. L’autore prosegue ragionando sull’oggi e, in particolare, sul fatto che abbiamo a che fare con frammenti di informazioni a cui dedichiamo poco tempo e attenzione. Le conseguenze per l’uomo contemporaneo di una dieta informativa così sovraccarica, frammentata e incostante non possono che essere pensieri, indagini e riflessioni ugualmente frammentate e superficiali. Ogni qualvolta Contri rivolge l’attenzione a un nuovo tema il metodo che impiega per affrontarlo è il medesimo, e possiamo definirlo metodo fenomenico-comunicativo, nel senso che egli dapprima espone la dinamica del fenomeno, per esempio il funzionamento del meme o della comunicazione virale, poi porta esempi comunicativi, come spot, campagne, case histories, eccetera, che sono in grado di cavalcare il fenomeno, oppure di denunciarlo, o ancora di migliorarlo, o anche minimizzarlo o, comunque, di interpretarlo correttamente. Ogni esempio pubblicitario nel libro è sempre accompagnato da un qcode che permette di vedere lo spot oppure la campagna a cui si fa riferimento. Sopra il qcode compare il titolo del commercial sotto, invece, l’indirizzo del sito a cui accedere per visionarlo.
Quando Contri parla della continua mescolanza di virtuale e reale causata dai nostri smartphone, e dei danni che questa adduce alla nostra capacità di attenzione, alla nostra concentrazione e alla nostra possibilità di socializzare davvero, egli porta a esempio lo spot di Coca Cola “Social media Guard” contro la dipendenza dalla rete e dai cellulari di ultima generazione. Per evitare il rischio di dimenticare la realtà e con essa la gioia di socializzare, Coca Cola propone infatti uno spot che coglie nel segno. Un enorme paraocchi messo intorno al collo dei protagonisti del commercial impedisce lo sguardo verso il basso e quindi verso lo schermo azzurro del device. Alzando finalmente gli occhi si possono perciò incrociare quelli del partner, dell’amico o della compagnia di amici, dei genitori, dei propri figli, o anche vedere il bel panorama con lo splendore del sole al tramonto, riprendendosi in questo modo la vita e la voglia di socializzare. In un colpo solo Coca Cola denuncia un problema, trova le possibili, paradossali ma efficaci comunicativamente parlando, contromisure e si propone come necessario “condimento” della ritrovata voglia di socializzare.
I numerosi progetti di comunicazione citati e illustrati servono comunque a Contri per ribadire che l’importante, in ogni caso, è saper costruire una storia che sia in grado di interessare e di divertire, una storia che riesca a far passare in secondo piano ogni disturbo comunicativo creato dalla frammentazione contemporanea. Questo perché la narrazione è un collante, un fil rouge che contrasta efficacemente lo spezzettarsi della attenzione, delle informazioni, e dei media. La narrazione per definizione tiene, lega e collega gli eventi in un’unità di intenti, e quindi contrasta il multitasking che, secondo Contri, è il vero distruttore delle potenzialità del nostro cervello (p.107 e segg.). Obbligarsi a fare più cose contemporaneamente, come se tutti noi avessimo le quattro braccia della terribile dea Kali, non ci rende più intelligenti o attenti o duttili. Tutto il contrario, ci destruttura il pensiero, ci frammenta l’attenzione e ci porta, sulla scorta di Manfred Spitzer, a vivere una sorta di demenza digitale (p.121). Il sovraccarico informativo e l’istantaneamente disponibile appiattiscono l’individuo togliendogli profondità, prospettiva, e perfino la faticosa capacità di costruzione del sé (p. 124)
Le soluzioni? Una dieta mediatica bilanciata, una attenzione alla realtà e non solo al mondo virtuale, un trasformazione del nostro uso dei social che non deve essere solamente abuso.
Gli ultimi capitoli del libro sono dedicati alla pubblicità sociale, da tempo interesse primario dell’autore. Essa si dimostra interessante anche per le grandi aziende e per le multinazionali perché la reputazione di una impresa passa atraverso quello che Giampaolo Fabris chiamava “Societing”, ovvero l’attenzione all’impatto sociale e l’attenzione verso le ricadute sugli stakeholders, ovvero verso tutti coloro che, a vario titolo, sono interessanti alle attività di una impesa. Insomma, ciò che è definito tessuto sociale non può più essere ignorato né dal marketing né dalla comunicazione commerciale, di questo Contri è ben convinto tanto che la sua attività, oggi, è quella di trasformare Pubblicità Progresso in un Centro Permanente di Formazione alla Comunicazione Sociale. Anche in questo campo sono numerosi i casi riportati che vengono narrati e spiegati dall’autore.
Così il lettore si rende comunque conto delle potenzialità che i nuovi media, se correttamente impiegati, possono fornire alla creatività e all’immissione nel mercato della comunicazione di messaggi con scopo sociale e non solamente commerciale. A tale proposito vengono analizzati numerosi flash mob, tra cui quello della associazione ambientalista canadese in cui si vede ripreso dall’alto un affollato punto di ristoro di un aeroporto. Un uomo lascia cadere per terra una bottiglia di plastica e nessuno si ferma per raccoglierla tranne, diversi viaggiatori dopo, una ragazza che si china per afferrarla e gettarla nell’apposito cestino posto lì vicino. A quel punto tutti gli avventori, evidentemente comparse istruite, si alzano in piedi tributando alla ragazza una standing ovation. La ragazza si schernisce ritenendo giustamente di non aver fatto nulla di speciale. Ad applauso finito tutti si risiedono come se nulla fosse. La scritta che compare come pay off recita: ”Il 91% degli abitanti del Quebec si preoccupa dell’ambiente. E tu?” Il flash mob è stato diffuso su YouTube.
Va rilevato che in questi ultimi anni la pubblicità sociale ha smesso di essere considerata la cenerentola delle pubblicità; infatti essa si è evoluta sotto molti aspetti, tra cui la ricerca degli insight, lo sviluppo della creatività e ciò che i pubblicitari chiamano la call to action, ovvero l’invito all’azione, sia questa una donazione oppure un cambiamento di comportamento altrimenti dannoso alla società. Tutto ciò è ben spiegato nella parte conclusiva del libro.
Il volume, inoltre, è impreziosito da una bella prefazione di Derrick de Kerckhove, mentre in appendice riporta una lunga intervista all’autore a cura di Annamaria Barbato Ricci. Infine, oltre alla bibliografia, in ultimo trova spazio anche un utilissimo glossario della pubblicità interattiva.