Multitasking? Una fregatura. Mass media: così lo tsunami 2.0 ci ha cambiati
Di Maria Carla Rota
I giornalisti tornino a fare i giornalisti, lo stesso facciano gli autori televisivi e i pubblicitari. Recuperiamo la creatività e l'arte del saper fare, come nelle antiche botteghe. Rialziamoci dopo lo tsunami elettronico che ci ha travolto negli ultimi decenni e impariamo a dominare la tecnologia, senza subirla, dagli studenti ai professionisti della comunicazione.
È questo il messaggio che emerge dal saggio “Mc Luhan non abita più qui?” (Ed. Bollati Boringhieri) di Alberto Contri, copywriter, direttore creativo e managing director presso multinazionali della comunicazione come McCann Erickson, consigliere Rai (1998-2002) e presidente da 17 anni di Pubblicità Progresso. Un libro che analizza le problematiche scatenate dalla rivoluzione digitale, dai singoli alla società, e che presenta anche soluzioni concrete, attraverso i migliori esempi di campagne pubblicitarie, commerciali e sociali, visualizzabili attraverso i codici QR. Un libro da guardare, non solo da leggere. "Era trent'anni che volevo scrivere questo saggio sul mondo della comunicazione - spiega Contri nell’intervista ad Affaritaliani.it -, ma mi sembrava di fotografare una pentola in ebollizione. Poi ho pensato alla massima di Albert Einstein, secondo cui le nuove idee sono sempre ricombinazioni di elementi preesistenti. In fondo, anche in questo campo i principi di base rimangono gli stessi, ma cambiano i fattori”.
Professor Contri, quindi Mc Luhan non abita più qui?
“Erano gli Anni Sessanta quando Mc Luhan scrisse la famosa frase “il medium è il messaggio”. Era il momento aureo della comunicazione "da uno a tutti”, c’erano pochi canali televisivi (solo uno in Italia) e i mass media erano pochissimi. Oggi ci sono un miliardo e mezzo di siti Internet, in questo momento sono stati spediti 229 miliardi di mail e sono stati visti 3 miliardi di video su Youtube. L’offerta è enorme, ma, per assurdo, il tempo per decidere cosa leggere e cosa guardare è sempre meno. Ormai si fanno almeno 6 cose in contemporanea, si vive di frammenti, si presta a ogni attività un sesto della propria attenzione. Non solo. Per aggiornare McLuhan, oggi "la gente è il messaggio”. Ormai la comunicazione si fa verso cluster di popolazione che a loro volta comunicano con altre persone e così via. Se prima quello che diceva la tv era considerato verità assoluta, oggi i due terzi degli acquisti vengono fatti dopo aver cercato informazioni su internet".
Lei la definisce una "costante attenzione parziale”.
"Lo vedo benissimo in classe con i miei studenti (attualmente è docente di Comunicazione Sociale all'università Iulm di Milano, ndr): mentre ascoltano, guardano il computer, lo smartphone, il tablet. Quando voglio attirare la loro attenzione, sto zitto per un minuto e poi li invito a fare una divisione senza calcolatrice. Non sono più capaci. Se venisse a mancare la corrente, torneremmo all'età della pietra. Non voglio vivere come il buon selvaggio di Rousseau, ovviamente, ma credo in un messaggio: o diventiamo padroni della tecnologia o resteremo schiavi dell’algoritmo”.
Secondo lei il cervello umano si sta adattando, grazie alla plasticità neuronale, a questa ipervelocità, o stiamo invece assistendo alla nascita di patologie legate all’ipervirtualità e al sovraccarico di compiti?
“Il nostro cervello non si sta adattando, perché non è pensato per essere multitasking. Anzi, paga dei costi cognitivi molto alti. Mentre facciamo più cose insieme abbiamo sì un picco di dopamina, ma poi ci ritroviamo con un pensiero frammentato, disconnessi dal mondo, senza capacità di linguaggio. Far mettere le mani sul computer a un bambino di 2-3 anni secondo me è un delitto. Non dobbiamo perdere l’abitudine a scrivere in corsivo, la capacità di fare il riassunto (analisi e sintesi), lo studio del greco e latino. Fino ad almeno 7-8 anni l’uso del computer va bandito e poi deve essere guidato, va insegnato anche come fare ricerche sul web. Infine, niente smartphone in classe come già sta avvenendo in varie scuole”.
Dai singolo alla società. Come è cambiato il modo di comunicare e fare pubblicità?
“Le agenzie pubblicitarie si sono concentrate sull’aspetto più redditizio del business, ovvero l'acquisto di spazi. Si è perso l'aspetto della bottega artigiana, preferendo riempirsi di stagisti. Il risultato è che oggi ci sono ottime pianificazioni, ma sempre meno creatività rilevanti. Si va sul sicuro affidandosi al già visto”.
Come catturare l'attenzione in un mercato così affollato?
"Bisogna sperimentare, cosa che non si è fatta nemmeno quando c'erano i soldi. Ma oggi ci possono essere comunque operazioni efficaci a prescindere dall’investimento, purchè ci sia dietro una grande idea. Non c’è più nessuna demarcazione tra tipologie di mezzie tecniche: anche un cosiddetto collateral può diventare il perno di una grande campagna. Attenzione alle nuove mode: oggi diventa virale tutto ciò che è divertente e "fuori di testa”. Come combinarlo con la brand identity?, si chiedono in molti. Ed è qui che i pubblicitari devono recuperare il loro mestiere. Servono buone idee, in grado di rimanere tali anche di fronte al fenomeno della viralizzazione, e bisogna tornare a un servizio di comunicazione completo da parte dell’agenzia. Ha detto Marc Pritchard, presidente degli investitori pubblicitari americani: “Che ce ne facciamo di ottime pianificazioni di brutte campagne?”
Quali errori hanno commesso invece i mass media?
"La stampa ha fatto un errore di prospettiva colossale: ha considerato il web un’ancella che le avrebbe portato altri lettori. Invece Interne è un ambiente totalmente diverso. Il risultato è che oggi le persone non hanno tempo e non vogliono pagare per l’informazione. Così ci si ritrova a inseguire i lettori e inondarli con argomenti 'da clic’ come le foto dei gattini o i video delle scollacciate”.
Che strada dovrebbero percorrere secondo lei?
“La stampa dovrebbe fare una selezione prioritaria delle notizie per aiutare i lettori a districarsi nell’offerta. Distinguersi con la qualità e l’approfondimento. Se invece metto il video di una vip seminuda tra le mie news, sono io il primo a sminuire la portata delle mie notizie. Un servizio ancora più importante se si considera che i ragazzi di oggi si aggiornano con le breaking news fornite dai provider telefonici, senza guardare la tv o leggere i giornali. Approfondiscono solo le notizie che vedono su Facebook. Per questo c’è bisogno di riacquistare il vero ruolo di giornalisti”.
E la televisione?
"Come dice Aldo Grasso i palinsesti tv sono rimasti sempre uguale negli ultimi 15 anni, dalle tv private a quella pubblica. Si vive molto di rendita, cercando di mantenere il pubblico già affezionato e abituato ai soliti format. D'altronde le ricerche dicono che i giovani fino a 35 anni non guardano quasi più la tv generalista, il cui pubblico ha per il 70% un’età dai 55-60 anni in su. Anche in questo caso, non si faccia l’errore di trasferire su Internet scampoli dei programmi pensati per i canali generalisti. Il film di Barry Lindon sul web chiaramente non può funzionare: servono video brevi, non oltre 3 minuti, pensati apposta per andare in Rete”.
Lei è stato nel Cda della Rai. Qual è la sua idea di servizio pubblico?
"Fui molto soddisfatto quando riuscii a far inserire al primo posto come missione dell'azienda quella di elevare il senso civico del paese. Non per forza attraverso la cultura, ma anche attraverso l’intrattenimento e una buona informazione. Come Pubblicità Progresso, per esempio, siamo riusciti a trattare difficili temi sociali in un modo divertente, ma che fa riflettere. Il segreto è, ancora una volta, metterci tanto mestiere, come dimostrano Proietti, Fiorello o Crozza, per fare qualche esempio. Vorrei che gli autori televisivi si sentissero come Marguerite Yourcenar, che nelle Memorie di Adriano fa dire all'imperatore: ‘Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo’”.
Come sono stati gli anni da consigliere Rai?
"Per riassumere questo quadriennio nel CdA della Rai, agli studenti dei miei corsi universitari dico che che "ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare", citando Blade Runner. È noto che l’intreccio fra la Rai e la politica è molto forte e io ho dovuto imparare a muovermi in questa giungla col coltello fra i denti. Battaglie politiche a parte, ne ho un ricordo molto piacevole perché abbiamo realizzato progetti molto belli, dal successo de "La Traviata a Paris” alla lotta per salvare l’orchestra sinfonica Rai”.
A livello di governance secondo lei quale sarebbe la soluzione migliore? E di un’eventuale privatizzazione che cosa pensa?
”L’ideale sarebbe un amministratore delegato con molti poteri, affiancato da un organo di controllo severo. Un modello Bbc, per fare un esempio. Sulla privatizzazione ho invece parecchi dubbi. La Rai è un elefante con 13mila dipendenti (5mila solo nella produzione), come si potrebbe privatizzarne una parte? E poi siamo sicuri che ci sarebbe un interessa da parte del mercato verso un canale generalista, proprio alla luce della rivoluzione della comunicazione che stiamo vivendo?”.