Mollare gli ormeggi e solcare i mari della comunicazione è sempre un'impresa. Una distesa virtuale, ma non solo, che si perde nell'infinito. Una distesa liquida, e per questo in continuo mutamento: il navigatore sa da dove parte, ma non sa dove arriverà. Le mete sono pressoché infinite, e anche queste soggette a mutamenti. E, se nei tempi antichi la stella Polare rivestiva il ruolo di compagna di viaggio, oltre che di guida, oggi chi si occupa di comunicazione non può certo dire di poter fare affidamento su qualcosa di simile. Anche le bussole sarebbero inutili. Nel mare magnum della comunicazione contemporanea, infatti, si naviga a vista. Molti si perdono, altri – pochi – approdano in qualche porto sconosciuto.
Alberto Contri, classe '44, manager, docente di Comunicazione Sociale alla Iulm, ex consigliere d'amministrazione della Rai, con il suo libro "McLuhan non abita più qui?" veste i panni del "lupo di mare" e, forte della sua pluriennale esperienza, si è cimentato nella non facile impresa di descrivere e spiegare la comunicazione, dalla nascita sino ai giorni nostri.
Interessante la figura utilizzata da Contri per spiegare l'evoluzione della comunicazione: una lunga molla le cui spire si comprimono, in un primo momento lentamente, intervallo di tempo che ha inizio circa 50mila anni fa, poi sempre più serrate man mano che ci si avvicina ai giorni nostri. Spire che seguono il ritmo delle continue trasformazioni subite dalla comunicazione, adeguatasi nel corso dei millenni alle diverse esigenze della razza umana: dai primi versi gutturali dell'uomo di Cro-magnon alle pitture rupestri, dalla nascita della scrittura fino all'invenzione della stampa a caratteri mobili fusi in piombo a opera di Johannes Gutenberg, per poi arrivare alle soglie del XIX secolo, quando la comunicazione ha iniziato a trasformarsi a una velocità esorbitante. Dall'avvento dei quotidiani, della fotografia, del cinema, della telefonia, sino alla comparsa della radio e della televisione. Ultimo, ma non certo per importanza, l'arrivo del computer e, negli anni '90, di internet.
Internet ha segnato i nostri tempi e il mondo della comunicazione. Come spiega Contri, è come se fossimo immersi nel Kali Yuga, un "periodo oscuro in cui è sovrano l'aspetto quantitativo delle cose, considerato secondo una prospettiva materialistica". Una fase, assumendo la versione ciclica cosmica guenoniana, in cui l'uomo è sovraccaricato da una mole pressoché infinita di informazioni, a cui si collega la mancanza di tempo per usufruirne.
Non bisogna nemmeno pensarci troppo per accorgerci che al giorno d'oggi, e nel campo di cui ci occupiamo, l'aspetto quantitativo è preponderante: basta riflettere sul valore attribuito allo share quando si tratta di giudicare un programma televisivo, a prescindere dalla sua qualità. Guénon aveva individuato anche il segnale rivelatore della fine del ciclo Kali Yuga: la diffusa sensazione della progressiva accelerazione del tempo, il che costituisce senza alcun dubbio una caratteristica saliente della nostra epoca.
Una situazione decisamente paradossale, in cui le persone, compresse in spire sempre più serrate, sono subissate da un numero maggiore di stimoli e di azioni da compiere. E, nel tentativo di riemergere, reagiscono cercando di diventare multitasking anche grazie alle opportunità fornite dalle diverse tecnologie messe a loro disposizione: gli stessi computer, gli smartphone, i tablet, ma anche console, decoder e iPod.
"Mezzi che veicolano il messaggio", avrebbe sostenuto il massmediologo canadese McLuhan. Ma McLuhan si riferiva al mondo della comunicazione di mezzo secolo fa, quando questa era unidirezionale e veniva calata dall'alto, da uno a tutti. Oggi, come ribadito più volte da Contri, la situazione è cambiata: il world wide web ha rivoluzionato questo rapporto. Da "il mezzo è il messaggio" si è passati a "la gente è il messaggio", ramificandosi in infinite direzione, "da tutti a tutti".
Diversi i rischi esaminati da Contri legati ai nuovi media, su tutti la "costante attenzione parziale", una patologia – o quasi – dovuta allo spropositato numero di funzioni messe a disposizione delle persone, e al loro stare continuamente connessi. Una ingerenza costante, che costringe il nostro cervello a compiere più compiti nello stesso arco di tempo, come fossimo noi stessi dei computer.
Basta osservare le persone in attesa alla fermata di un autobus: difficile trovarne una che, insensibile a quanto avviene nell'ambiente circostante, non tenga gli occhi fissi sul suo smartphone, intenta a inviare o ricevere messaggi, chattare su WhatsApp, Twitter, Snapchat, Facebook, guardare siti sulla Rete. Un comportamento che diventa patologico quando interferisce con ogni altra attività di relazione, che si stia a tavola, che si stia parlando con altri, che si stia partecipando a una riunione o a una lezione, che si stia fruendo di altri media.
Facile comprendere le conseguenze derivanti dalla "costante attenzione parziale", soprattutto nelle giovani generazioni. Generazioni che Contri, nel corso della sua esperienza di docente universitario, ha avuto modo di osservare da vicino, arrivando alla conclusione che la raccolta di spizzichi di nozioni, insieme al troppo precoce abbandono della scrittura a mano in favore dell'uso della tastiera di un computer, provoca alla fine un ritardo del linguaggio e un pensiero sempre più destrutturato: "Con il naso sempre sullo smartphone i miei studenti credono di essere sempre connessi con la realtà, e invece ne sono sempre più fuori. Lo dimostra il linguaggio smozzicato e confuso con cui un numero crescente di loro si presenta agli esami e alla discussione delle tesi".
Contri non assume mai un atteggiamento inquisitorio nei confronti delle nuove tecnologie, tutt'altro. Ma si è comunque accorto che occorre porre un freno a questo continuo "bombardamento" digitale e virtuale, offrendo diverse soluzioni. Tra tutte spicca la digital detox ideata da Richard Brenson, ceo del gruppo Virgin.
Ma il problema non riguarda solo gli studenti: nel mondo del lavoro e dell'impresa ci si sta rendendo conto che la dipendenza da smartphone, tablet e pc provoca stress e, alla fine, un dannoso calo del rendimento complessivo. Così Richard Branson, ceo del gruppo Virgin, ha presentato nell'autunno 2016 la sua ultima iniziativa per la salute e il benessere dei dipendenti: un programma di digital detox, che si svolgerà ogni mercoledì mattina per due ore, durante le quali i lavoratori potranno staccarsi dai dispositivi digitali per andare in palestra, passeggiare in mezzo alla natura o svolgere altre attività rigorosamente offline. L'idea è nata per incoraggiare i dipendenti a passare più tempo a comunicare con i colleghi, smettere di concentrarsi sulla casella di posta elettronica e allontanarsi dalla scrivania.
Come scrive lo stesso Contri, "le nuove opportunità offerte dai media digitali ci pongono davanti a un bivio: trasformare consumatori e cittadini in numeri di un data-base, in oggetti di comunicazioni assillanti e invasive, con un linguaggio primordiale sempre più schematico e impoverito, oppure in interlocutori attivi delle imprese, dei media, della società, sempre più dotati di senso critico e padroni della tecnologia a loro disposizione".
Ai professionisti della comunicazione è richiesta una "reale responsabilità sociale", così da evitare l'attuarsi della prima opzione. In caso contrario "il marketing, la pubblicità e il business finiranno per divorare se stessi, mentre algoritmi gestiti da pochi governeranno il mondo come un nuovo opprimente Grande Fratello. E l'Armageddon sarà davvero alle porte".