29-01-2017 Che fine ha fatto McLuhan con il web?

Il web ha rivoluzionato l’informazione. Oggi la comunicazione va “da tutti a tutti” e “la gente è il messaggio”. Nel suo ultimo libro - “McLuhan non abita più qui?” (in uscita il 2 febbraio) Alberto Contri accetta le sfide di questo cambio di paradigma e dell’eclissi del generalismo, con modelli di campagne di eccellenza.

Abbiamo parlato di vecchi e nuovi media, di televisione, di pubblicità commerciale e sociale. Di opportunità e problemi delle innovazioni tecnologiche. Scoprendo che tutto si tiene, e molto più di quanto non si potesse immaginare. Certo, se ci comportiamo come i ciechi con l’elefante dell’apologo jainista, continueremo a non comprendere dove ci porti un contesto che sta vivendo un grande cambio di paradigma, e al massimo ci potremo intestardire nel cercare di prolungare ancora un po’ qualche rendita di posizione. Sfruttando i Big Data per importunare i consumatori in ogni momento della loro vita, nel tentativo di difendere esclusivamente interessi di breve respiro dei brand che intendiamo promuovere. Utilizzando le opportunità offerte dalle sempre nuove tecnologie di comunicazione senza cogliere a fondo i benefici dell’interattività e del dialogo con le persone. Diffondendo attraverso un mezzo ancora potente come la tv, che pure sta cambiando pelle, contenuti sempre più grevi e oggettivamente diseducativi pur di raccattare l’audience superstite. Dimenticando che per svariati motivi i consumatori stanno diventando sempre più responsabili e competenti: amano riflettere, commentare e giudicare tra loro i prodotti, i brand e i relativi valori; diventano, secondo il sociologo Francesco Morace (2008), «consum-autori», sia che postino dei commenti ai loro amici su Facebook, sia che si cimentino addirittura nel modificare un video virale con la tecnica dell’user-generated content.

Il nuovo universo digitale che sta nascendo ci pone davanti a un bivio: trasformare consumatori e cittadini in numeri di un data-base, in oggetti di comunicazioni assillanti e invasive, in similautomi con un linguaggio primordiale sempre più schematico e impoverito, oppure in interlocutori attivi delle imprese, dei media, della società, sempre più padroni della tecnologia a loro disposizione. Se l’obiettivo del marketing smette di essere la mera vendita per puntare a un’effettiva human satisfaction (che significa benessere integrale), anche l’universo digitale non può che essere illuminato da una nuova visione di marketing etico in cui, per dirla con Andrea Farinet:

Se per la customer satisfaction l’atto del consumo era il centro dell’attenzione della struttura impresa-comunicazione, con la nascita della human satisfaction si assiste a una sorta di seconda evoluzione culturale. L’essere umano diventa il fulcro dell’universo economico, in qualità di unico vero destinatario degli sforzi e delle attività aziendali. (Farinet 2015, p. 121)

Un marketing etico che valga per le imprese, per i media, per le agenzie di pubblicità e per tutti gli attori che agiscono e interagiscono sul palcoscenico della comunicazione.

Alle intuizioni di teorici della comunicazione come Ira Carlin, Seth Godin, Chris Anderson, si aggiungono quelle di sociologi e studiosi come Giampaolo Fabris, Giuseppe De Rita, Andrea Farinet, Domenico De Masi, Francesco Morace, Stefano Zamagni, Mauro Ferraresi, Remo Lucchi e molti altri. Secondo loro, per crescere nel nuovo rivoluzionario contesto, le imprese e i media si dovranno impegnare ad applicare seriamente una reale responsabilità sociale, segnatamente nell’accezione di Francesco Perrini, direttore della csr Unit dell’università Bocconi: «È necessario considerare la csr non come uno sforzo addizionale, bensì come un comportamento legato alla normale gestione dell’impresa» (Perrini s. d., p. 4). In caso contrario, il marketing, la pubblicità e il business finiranno per divorare se stessi, e l’Armageddon sarà davvero alle porte.
Nova